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Rubriche – Psicologia e dintorni: La terra trema e l’ ”io” va in frantumi

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Rubrica di psicologia a cura del dr. Mauro Sorrentino, psicoterapeuta, specializzato in psicoterapia individuale e di gruppo

Eri a casa tua, magari dormivi, mangiavi… eri con la tua famiglia ed improvvisamente  ti ritrovi ad essere un “terremotato”, spersonalizzato in  140 secondi, accumunato ad altri che, come te, potranno raccontare un’ esperienza di scampata morte; divieni parte di un’altra famiglia… forse la tua non c’è più, fai parte da adesso dei sopravvissuti e tale ti percepisci. Inizi a chiederti “ma perché io” . E’ questa una delle prime sensazioni di angoscia nell’aver perduto tutto e tutti.  L’inizio di un percorso difficile, dove lutto e frammentazione della propria identità si mescolano.

Il dramma della perdita della casa, dei propri oggetti e dei propri beni, degli spazi familiari e della identità legata a una città sepolta dalle macerie era nulla rispetto alla constatazione di aver visto un padre o un fratello morire nello stesso tempo in cui altri si erano salvati.

Ma dopo il lutto e le lacrime nel “post-post terremoto” si avverte calzante la psicosi della morte, non tanto come spauracchio incombente sull’immaginario del terremotato quanto come consapevole perdita della propria identità, una idea di morte  causata dalla perdita dei punti di riferimento che costruivano, dapprima, la quotidianità individuale e familiare, dalla consapevolezza di uno spaesamento dovuto alla perdita della casa, degli oggetti, degli spazi domestici e del loro impiego, poiché il soggetto non riesce più a ricollocarsi in una realtà del tutto cambiata, che non gli appartiene,  una perdita di identità globale identità legata al rapporto con il territorio, con le proprie abitudini, i paesaggi, gli odori e tutti quei canoni sociali e culturali che contrassegnano l’individuo vivo nella collettività.

L’idea della morte, intesa come un naturale e biologico rito di passaggio, è completamente sovvertita: non c’è il tempo dell’elaborazione della perdita e della preparazione della cerimonia funebre; completamente assenti sono l’intimità del defunto con il proprio nucleo familiare e l’esecuzione dei tradizionali riti, le esequie divengono veloci e globali, ogni vittima diviene parte della città in lutto 10-100-200, 292 … tutti uguali accumunati dal medesimo destino.

Psicologi di campo, assistenti sociali e psichiatri hanno seguito e ascoltato i racconti dei “terremotati” notando quanto fosse grande, spesso, il desiderio di parlare del trauma subìto e non ancora elaborato, nel tentativo di oggettivare le perdite materiali e affettive e di ricercare strategie di superamento del dramma incorporato. Parliamo della così detta “psicologia dell’emergenza” che ha lo scopo basilare di ridurre il danno psicologico causato dalla catastrofe. La finalità degli interventi sulla crisi è di aiutare le persone a non fare degenerare una situazione di stress interno o esterno e sostenerle nel riguadagnare un livello di funzionamento e uno stile di vita per quanto possibile simile a quelli precedenti. Aiutandoli quindi nel  recupero dell’identità e della sicurezza collettiva e nel riorganizzare il tessuto sociale.

 La psicologia dell’emergenza collettiva, si occupa degli effetti di eventi traumatici che hanno colpito un’intera comunità. In questi casi l’evento critico è collettivo, la comunità è traumatizzata, data la distruzione dei luoghi e dei modi di essere e di vivere che la caratterizzavano. Il sistema sociale è in uno stato di crisi, poiché avviene uno stravolgimento delle caratteristiche dell’insieme sovra individuale in cui a vita di ognuno si svolge.

Le parole dello stesso Sindaco di Amatrice nella cerimonia collettiva di esequie sono state molto chiare e dirette, individuava le due strade : il piangere e lasciarsi andare nel baratro della rassegnazione e dell’angoscia, oppure il reagire e ricostruire con forza quanto  il terremoto ha distrutto. Un fare leva su orgoglio ed appartenenza, sulla storia individuale e collettiva, un lavoro di ricostruzione dell’identità prima che delle case.

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